Don’t Worry, John Callahan. Dopo un grave incidente automobilistico, John cerca con tutte le sue forze di guarire dall’alcolismo attraverso il potere curativo dell’arte. Nonostante le gravi ferite alle mani, inizia a disegnare divertenti e controverse vignette satiriche, che gli procurano moltissimi ammiratori in tutto il mondo e gli regalano una nuova speranza nella vita.
Biografia di un disegnatore controverso e iconoclasta? Storia di caduta, ascesa e riscatto dall’inferno dell’alcool e dell’autodistruzione al paradiso dell’arte e dell’amore? Per fortuna, nelle mani di Gus Van Sant Don’t Worry non è nulla di tutto questo. Sceneggiando il libro dello stesso Callahan (in Italia pubblicato da Garzanti), Van Sant ci restituisce il ritratto a tutto tondo, luci e ombre, tagliente e scorretto come probabilmente sarebbe piaciuto al soggetto, di un uomo. Non di un uomo su una sedia a rotelle. Non di un handicappato (usiamolo, questo termine così politicamente scorretto).
Non scorre acqua di rose, semmai alcool, in questa storia. Non c’è agiografia. Van Sant e Joaquin Phoenix (Callaghan) non hanno paura di essere sgradevoli, commoventi (nel senso etimologico di muovere alla commozione, non di “preparate i fazzoletti”), urticanti, compassionevoli.
Phoenix è bravo nel rendere il percorso umano e artistico, una redenzione laica e religiosa (ma non confessionale) al tempo stesso, spalleggiato da Rooney Mara fisioterapista, complice, compagna. Ma la nota di merito va al trasformista Jonah Hill e al suo Donnie: un guru oblomoviano dell’anti-alcolismo, dalle pose da aspirante figlio dei fiori sbocciato fuori epoca che alterna spiritualismo a mantra quasi banali (“Drink water”).
Speriamo che questo film riesca a raccogliere la giusta attenzione che merita da parte del pubblico.