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La produzione indipendente italiana di intrattenimento

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La produzione indipendente italiana di intrattenimento: un settore vivace, con un grande potenziale inesploso.

La ricerca “Il valore della produzione. L’intrattenimento come risorsa economica e culturale” condotta da Ce.R.T.A. – Centro di Ricerca sulla Televisione e gli Audiovisivi, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano per Apt

La produzione indipendente di intrattenimento in Italia ha registrato in questi anni una crescita positiva. Il settore rappresenta oggi una realtà importante che contribuisce a stimolare la creatività e a creare posti lavoro. Tuttavia, nonostante gli sforzi fatti, il peso della produzione indipendente sul totale complessivo del comparto televisivo in termini di ricavi è ancora molto limitato, soprattutto se comparato ad altri mercati più avanzati: l’intrattenimento indipendente pesa infatti soltanto per un 3,9% del comparto TV (0,3 miliardi di euro). Un valore percentuale molto inferiore rispetto a quello, per esempio, del Regno Unito (8,8% del comparto, ovvero 1,5 miliardi di euro). Se, nel giro di alcuni anni, si arrivasse alla stessa percentuale britannica sul mercato complessivo, il mercato nazionale vedrebbe raddoppiare ricavi e occupazione.

 

L’intrattenimento: un genere chiave in Italia

Nel 2015, in Italia, sono stati realizzati 290 programmi di intrattenimento, per un totale di 13.850 ore di programmazione, con una particolare concentrazione sulla fascia pregiata del prime time.

La produzione indipendente pesa ancora però troppo poco, soprattutto se valutata in termini di ore di prodotto originale: solo 4.344 ore di intrattenimento (il 31% del totale) sono realizzate da produttori indipendenti (contro un 69% di produzione interna). I contenuti realizzati da società esterne sono maggiori per varietà e ricchezza di titoli, ma meno estesi sul palinsesto.

Per quanto riguarda i generi dell’intrattenimento, emergono sugli altri il factual e l’infotainment (che complessivamente coprono il 54% dell’offerta complessiva). I due generi costituiscono anche l’esempio di due strategie tra loro opposte: per il factual, la cui realizzazione si appoggia più frequentemente sulla produzione indipendente, si registra un’ampia varietà e numero dei titoli in circolazione; mentre l’infotainment punta decisamente su prodotti più consolidati (con numerose stagioni alle spalle) e, in definitiva, di maggiore durata in termini di ore di programmazione complessive.

La produzione indipendente si concentra soprattutto su tre generi principali, abitualmente collocati in fasce prominenti del palinsesto come il preserale, l’access e il prime time. Si tratta dei game, dei reality e dei talent. Insieme al factual, sono questi i generi che costituiscono l’expertise più importante delle case di produzione indipendenti, quasi interamente creati e sviluppati da società esterne, a volte in coproduzione con i broadcaster (questo vale per la totalità dei reality e dei talent e per il 96% delle ore di messa in onda dei game).

Ci r c a un quarto dei programmi di intrattenimento e un quinto delle ore di programmazione dedicate al genere, è costituito da format, in gran parte di provenienza internazionale: solo il 5% dei titoli e delle ore in onda nel 2015, infatti, è di format originali italiani. Una presenza ancora decisamente limitata: l’Italia importa molti programmi e ne esporta pochissimi.

Lo scenario della produzione: l’occupazione

La mappatura completa delle case di produzione italiane impegnate nell’intrattenimento televisivo mette in luce un modello occupazionale ben preciso, con strutture spesso snelle, caratterizzate da un numero ancora mediamente basso di impiegati stabili, ma con un forte capacità espansiva attraverso il ricorso a forme di collaborazione più flessibili, soprattutto relative a specifiche grandi produzioni e a professionalità creative e tecniche in grado di operare contemporaneamente su fronti e progetti diversi. È un sistema che rischia di generare precarietà, e soltanto la crescita del comparto potrà garantire una maggiore stabilizzazione dei modelli di impiego.

Su un totale di occupati nel comparto della produzione e post-produzione televisiva che raggiunge nel 2014 le 8.500 unità, si può stimare che l’area dell’intrattenimento attivi ogni anno 3.800 contratti. Il numero di dipendenti strutturati nelle case di produzione attive nel settore dell’intrattenimento è però più limitato, e stimabile in circa 614 unità.

Lo scenario delle case di produzione italiane si presenta molto vivo e variegato sotto il profilo delle specializzazioni, come sotto quello della tipologia organizzativa e dell’organizzazione aziendale. Da un’analisi del quadro contemporaneo emergono quattro modelli prevalenti:

  1. Mega indies: realtà di grandi dimensioni, spesso inserite in gruppi internazionali, con un accesso ampio ed esteso a cataloghi di format, ed estremamente variegate dal punto di vista dei generi e della destinazione finale dei loro prodotti, indirizzati a diversi tipi di broadcaster.
  2. Italian majors: società orientate soprattutto a uno spettacolo e intrattenimento mainstream, centrate sulla collaborazione con talent nazionali e spesso caratterizzate da rapporti di maggiore esclusività con alcuni broadcaster (nella gran parte dei casi generalisti).
  3. Atelier creativi: realtà di piccole dimensioni, artigianali, con una specializzazione forte su determinati generi e modalità di racconto e un ricorso minore a format preesistenti.
  4. Branded storytellers: agenzie capaci di lavorare anche su fronti non strettamente televisivi, come l’advertising, il settore digital, il branded content e così via.

Le questioni sul tavolo: come crescere?

Quattro punti aiutano a riassumere le principali questioni ancora aperte, da risolvere per permettere al settore della produzione indipendente di crescere maggiormente e stabilizzarsi con sicurezza.

  1. L’esportazione è al momento penalizzata da alcuni limiti: l’assenza di sinergia tra produttori (soprattutto le mega indies e le Italian majors) e broadcaster in termini di distribuzione internazionale; la scarsità di professionalità specifiche che sappiano presidiare i mercati internazionali; una creatività (soprattutto in ambito generalista) spesso ancora troppo legata al contesto nazionale. Esistono però grandi opportunità di crescita grazie al trend ormai pienamente assestato di globalizzazione dei format d’intrattenimento, che ha visto coinvolti anche molti Paesi non anglosassoni, o grazie alla possibilità di espandere e rafforzare i rapporti con mercati consolidati, come la Spagna e l’Est Europa, o emergenti, come il Middle e Far East asiatico.
  2. La questione dei diritti è particolarmente sentita, nei termini di una paternità spesso contesa tra produttori e broadcaster. Le differenze nella ripartizione risentono troppo, in modo arbitrario, della specificità (e della forza) dei vari soggetti in gioco. Soprattutto per le mega indies, maggiore potere contrattuale nella ripartizione di proventi e titolarità potrebbe favorire uno sviluppo di format originali rispetto alla vendita di format stranieri importati.
  3. Le procedure di commissioning sono ancora troppo legate ad aspetti che sfuggono a criteri stabili, come la fiducia con rapporti spesso informali e personali che non aiutano la chia- rezza nelle procedure di pitch e commissione. In particolare, le realtà più piccole soffrono una continua variabilità negli interlocutori e nelle professionalità sul lato dei broadcaster, vedendo così limitate le proprie opportunità di accesso ai momenti di brief.
  4. Infine, resta aperto il tema delle modalità produttive e realizzative dei programmi, con una forte distinzione tra la co-produzione con i broadcaster e la consegna “chiavi in mano” del contenuto finito. Nel primo caso, permane una forte asimmetria tra le reti e i produttori, con queste ultime che devono spesso adeguarsi alle necessità e agli stili produttivi dei broadcaster, riducendo i rischi ma anche, di fatto, i guadagni e i possibili sfruttamenti dei formati. La consegna “chiavi in mano”, invece, al momento è sbilanciata su alcuni generi (quelli non studio-based), mentre sarebbe auspicabile per le case di produzione avere un maggior controllo sulla realizzazione del contenuto, funzionale soprattutto al modello degli atelier creativi.

Quali possibili soluzioni?

Gli ambiti su cui si può intervenire sono sostanzialmente tre.

  1. La regolamentazione e le politiche pubbliche, valide per tutti gli operatori, con l’attivazione di sistemi di supporto alla produzione d’intrattenimento (quote, tax credit, ecc.) che riconoscano la capacità del settore di generare valore di tipo insieme economico e culturale.
  2. Il ruolo del servizio pubblico, che dovrebbe trasformarsi in un volano e traino dell’intero comparto produttivo, garantendo una pluralità di voci in termini sia di case di produzione coinvolte sia di generi e tipi di intrattenimento, oltre che snellendo e rendendo maggiormente chiari i suoi processi e dinamiche interne.
  3. La creazione di un mercato interno solido costituisce una precondizione fondamentale per lo sviluppo futuro in termini di esportazione internazionale di format, da perseguire anche con un sostegno alla creatività originale, soprattutto per le case di produzione più piccole.

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