Mohammad Rasoulof racconta quatto storie ambientate in Iran. Racconti che in qualche modo s’intrecciano, in maniera drammatica. Heshmat, marito e padre esemplare, è un uomo generoso e accomodante con tutti, ma svolge un lavoro misterioso per il quale ogni notte esce di casa.
Pouya ha da poco iniziato il servizio militare e si ritrova subito ad affrontare una scelta drammatica: come obbedire a un ordine dei superiori contro la propria volontà.
Javad è un giovane soldato che conquista a caro prezzo tre giorni di licenza per tornare al paese della sua amata e chiederla in sposa.
Bharam è un medico interdetto dalla professione, che decide finalmente di rivelare alla nipote un segreto doloroso che lo accompagna da vent’anni.
Mohammad Rasoulof e i segreti
Un segreto. I quattro protagonisti dei quattro tasselli che compongono Il male non esiste hanno questo in comune: ognuno di loro ha un segreto che in qualche modo avvelena la loro vita o comunque la mina alla radice. Non solo. Il loro segreto è legato alla morte, è abbarbicato a essa. Non sono assassini a pagamento o serial killer o poliziotti con il grilletto troppo facile o qualsiasi altro stereotipo da film.
Quando la visuale si allarga e lo spettatore coglie il segreto di Heshmat, Pouya, Javad e Bharam, si rende conto che la colpa non è loro, ma nella società, in un certo sistema statale (nello specifico iraniano, ma potrebbe essere un altro) che nella morte ha uno dei suoi macabri fondamenti.
Stato corrotto, individui infetti loro malgrado e così Heshmat, Pouya, Javad e Bharam sono bagnati, uno dopo l’altro, dalla pietas dello sguardo di Mohammad Rasoulof. Un occhio in apparenza distaccato, da entomologo, in realtà partecipe e compassionevole (nel senso etimologico) dei loro destini.
Destini che sono loro sono per modo di dire, dato che in realtà i loro fili sono tirati dall’alto, dal potere. A meno che qualcuno non decida di ribellarsi e tranciare i fili, ma anche in questo caso pagando un prezzo doloroso.