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Star Wars Il Risveglio della Forza

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Star Wars Il Risveglio della Forza si svolge un decennio dopo Il ritorno dello Jedi,
Luke Skywalker (Mark Hamill) è scomparso. La mappa con il luogo in cui si è nascosto fa gola tanto al Primo Ordine, organizzazione paramilitare che si richiama all’Impero Galattico quanto alla Resistenza, gruppo di repubblicani decisi a contrastare l’autoritarismo totalitario del Primo Ordine.
Quando Kylo Ren (Adam Driver), erede spirituale di Darth Vader, scopre che la mappa è in mano al pilota Poe Dameron (Oscar Isaac), guascone e infallibile con giacca alla Indiana Jones e al suo droide BB-8, scatena una caccia senza tregua, che coinvolgerà Finn (John Boyega), uno Stormtrooper che ha deciso di non uccidere e Rey (Daisy Ridley), una ragazza che vive rivendendo cianfrusaglie recuperate da astronavi.
Finn e Rey rimetteranno in funzione il Millennium Falcon e incontreranno prima Han Solo (Harrison Ford) e Chewbacca poi il capo della Resistenza Leila Organa (Carrie Fisher). E la Forza sarà di nuovo nell’universo.

Con Star Wars Il Risveglio della Forza JJ Abrams prosegue nella sua carriera di artefice di reboot, di rimessa a nuovo di storie tanto gloriose quanto usurate. Dopo la messa a punto del nuovo ciclo di Star Trek, la Disney gli ha perciò affidato un compito ancora più arduo, quello di far ripartire la saga di Star Wars a dieci anni dal sesto capitolo della seconda trilogia e di disincagliarla dalle sabbie creative in cui era finita all’epoca.
Una partita difficile da affrontare, per tanti e ovvi motivi (uno su tutti: l’aura di culto che circonda la saga, pari forse solo a quella riservata al Signore degli anelli) e che Abrams ha sbrogliato facendo quello che sa fare meglio: televisione.
Star Wars 7 un film televisivo? Ovviamente no, l’ampio respiro del kolossal, ampliato dal solito inutile (come nel 95% dei casi) 3D, c’è e non si può negare. L’approccio “televisivo” sta nell’idea che questa non sia una storia autoconclusiva, a se stante, ma solo la prima puntata di una mini-serialità.

Per cui gli sceneggiatori (Abrams Lawrence Kasdan e Michael Arndt) cospargono il campo di indizi, allusioni, piste vere e false, rimandi, sospensioni… insomma l’armamentario di Lost o di Alias o di altre serie tv mistery, il bagaglio tecnico e grammaticale basilare di Jeffrey Jacob Abrams.
C’è qualcosa di male in questo? Dipende. Se accettiamo l’idea diffusa per cui cinema e tv ormai pari sono – anzi la seconda è meglio del primo, più ricca, più fantasiosa, più coinvolgente – nulla di male, anzi. L’uso delle tecniche narrative televisive irrobustisce e corrobora il consunto corpaccione Cinema.
Se invece siete dell’idea che questa commistione sia malsana e che un film sia una storia chiusa e compiuta e non un mega spot, un lungo trailer per le prossime puntate, uno stay tuned lungo 136 minuti resterete quantomeno perplessi.

Ma torniamo a Star Wars 7, questo bizzarro, ibrido prodotto. Una macchina per fare soldi (incassi a parte, la maggior parte degli introiti arriverà dal merchandising) poco originale, senza grandi guizzi inventivi o narrativi. Certo, quarant’anni fa nessuno avrebbe affidato i ruoli principali a un uomo di colore e a una donna, per di più sconosciuti.
Ma sono davvero i ruoli principali, nel senso di personaggi che portano avanti la storia, se ne assumono il peso, affrontano e risolvono i conflitti? Sembra più apparenza che sostanza, più marketing e strategia politicamente corretta che vera innovazione.
Anche perché l’impressione è che Abrams abbia tessuto un elogio del “vecchio”: vecchie armi, vecchi gadget, vecchie astronavi, vecchi personaggi, vecchi stilemi narrativi, vecchie idee, vecchi droidi… Tutto ciò che rimanda o a che fare con la prima trilogia (1977-1983) è esaltato come migliore, più sicuro, efficace. Peraltro i giovani, Rey in testa, non hanno nessuna ansia rottamatrice, anzi vivono in religiosa venerazione dei veterani.
Un atto di rispetto dell’arrembante Jeffrey Jacob verso il patriarca George Lucas, che nulla ha voluto sapere del nuovo progetto e come Luke Skywalker si è chiamato fuori dall’agone? O meno fantasiosamente, strategia di engagement per conquistare in un colpo colpo i fan della prima ora e le nuove fasce del pubblico? Magari tutte e due le cose, facce della stessa medaglia.

Forse, pagato pegno con questo film, nei prossimi due Abrams sarà più libero di esprimersi e sperimentare.

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